Nella schizofrenia la normale asimmetria emisferica è ridotta e alterata

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 21 novembre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Fino ad una ventina di anni fa, sarebbe stata pura fantascienza ipotizzare che la specializzazione complementare dei due emisferi cerebrali, ossia l’argomento principe della transizione fra neuropsicologia sperimentale e neuroscienze cognitive, sarebbe diventata un oggetto di studio per la comprensione delle alterazioni cerebrali nella schizofrenia e in altre psicosi.

Nel secolo appena trascorso, il panorama culturale ed accademico della psichiatria è stato dominato dalla divisione conflittuale in due fazioni aspramente contrapposte, come quelle di guelfi e ghibellini, e poi bianchi e neri, per citare esempi di storia d’Italia. La separazione preconcetta e insanabile era fra i sostenitori di un’eziopatogenesi eminentemente psicologica ed ambientale di nevrosi e psicosi, espressa esclusivamente al livello della funzione mentale senza alcun rapporto con la genetica e con le strutture cerebrali, e i sostenitori della presenza di alterazioni morfo-funzionali simili a quelle dei disturbi mentali conseguenti a malattie neurologiche, identificati con la qualifica dispregiativa di organicisti.

La mia generazione, pur essendosi formata alla scuola di docenti separati nelle due fazioni e rassegnata ad attingere dagli appartenenti alla prima per imparare il rapporto col paziente e dagli appartenenti alla seconda per apprendere principi e pratica della farmacoterapia, si rendeva conto dell’anacronismo di tale rigida divisione. La biochimica e la neuropatologia della schizofrenia erano considerate nella maggior parte delle scuole di specializzazione in psichiatria delle facoltà mediche d’Europa, un retaggio del passato: una falsa pista ispirata soprattutto al riduzionismo d’oltreoceano, che aveva cercato senza successo cause anatomopatologiche e biochimiche nello studio autoptico macroscopico del cervello, nell’esame istochimico di campioni di tessuto e nell’analisi di metaboliti di amine biogene in vivo, al fine di riportare le sindromi psichiatriche a semplici alterazioni biologiche. Eppure, le nuove metodiche di neuroimaging e rilievi elettrofisiologici, quali i potenziali cognitivi evocati (P300), già negli anni Novanta avevano documentato alterazioni cerebrali morfo-funzionali in varie condizioni psicopatologiche; e lo studio biochimico, passando dall’epoca dei neurotrasmettitori a quella dei recettori, aveva documentato numerose anomalie e peculiarità associate ai disturbi mentali.

Nella ricerca di interlocutori culturali, la mia esperienza, nonostante questi aspetti di attualità, continuava ad essere dominata dalla frustrazione dell’incontro con tetragoni fondamentalisti incapaci di ascolto. Poi, andai a seguire a Firenze i seminari di un giovane docente che, precorrendo i tempi, proponeva i diversi approcci di studio al mentale come registri o livelli in grado di produrre conoscenza relativa ad un metodo, ma senza pretese egemoniche di una concezione, identificata con un approccio, sulle altre[1]. Così entrai in un mondo affascinante che proponeva “frammenti di conoscenza come orme su una via da seguire”, che andavano dalla volumetria delle regioni cerebrali nella schizofrenia, nella depressione e nei disturbi da stress, alla psicosomatica e perfino all’immunologia molecolare delle sindromi psichiatriche. Una socratica prudenza, ispirata dalla certezza di non possedere una conoscenza compiuta o un paradigma unico ed esaustivo in grado di coniugare tutti i verbi della ricerca e dell’osservazione, consentiva la coesistenza parallela di più prospettive, incluse quelle della fenomenologia e della psicoanalisi, pur scontando le parti superate, che avevano dominato la mia formazione.

Mi piace osservare, concludendo questo excursus introduttivo, che gli aggiornamenti e tutto il materiale di conoscenza proposti ai seminari, non essendo sapere di fazione che va difeso come si difende un’identità - come era accaduto in passato fra psicoanalisti ed organicisti - poteva mostrare la sua imperfezione ed essere sottoposto indefinitamente a verifica e revisione come accade nelle scienze sperimentali.

Seguendo questo esempio, da più di dodici anni pubblichiamo recensioni di studi che possono contribuire a comporre una figura di conoscenza, come piccole tessere di un mosaico che non sicuramente sono quelle giuste al posto giusto, ma certamente valgono per tentativo e metodo.

Un gruppo di ricerca di Singapore ha analizzato le peculiarità nell’organizzazione asimmetrica delle grandi reti cerebrali nella schizofrenia, indagando il cervello di centosedici persone con una diagnosi sicura di disturbo schizofrenico, secondo una concezione attuale, sviluppata in seno all’analisi morfo-funzionale dei maggiori networks alla base del funzionamento psichico, tipica della connettomica.

I risultati possono interessare, oltre gli psichiatri, i cultori della maggior parte delle branche delle neuroscienze (Sun Y., et al., Reduced Hemispheric Asimmetry of Brain Anatomical Networks Is Linked to Schizophrenia: A Connectome Study. Cerebral Cortex – Epub ahead of print pii:bhv255, 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Singapore Institute for Neurotechnology (SINAPSE); Center for Life Sciences; Department of Psychology, National University of Singapore; Department of General Psychiatry, Department of Research, Institute of Mental Health (IMH), Singapore.

L’asimmetria interemisferica è considerata a ragione sinonimo di specializzazione complementare e, anche se non tutti gli aspetti sono riconducibili ad una prevedibile regolarità, la tesi che la considera espressione del livello più avanzato nell’evoluzione filogenetica del cervello, trova molte conferme. Lo studio del funzionamento cerebrale dal punto di vista dell’analisi morfo-funzionale connettomica applicata alla fisiopatologia delle psicosi è un campo nuovo di indagine, e lo studio dell’asimmetria nel funzionamento patologico è sicuramente recente.

Sebbene numerose osservazioni abbiano riportato più o meno evidenti dati di irregolarità negli psicotici, rispetto alle configurazioni di attività distinte fra emisfero destro ed emisfero sinistro nelle persone non affette da psicosi, i patterns funzionali dell’asimmetria fisiologica e patologica dei grandi sistemi neuronici dell’encefalo, non sono stati ancora determinati.

Sun e colleghi hanno affrontato questo studio indagando le alterazioni della topologia della sostanza bianca nella schizofrenia e la loro associazione con le manifestazioni cliniche di malattia. L’analisi connettomica ha proposto esiti di sicuro interesse.

Le reti anatomiche “pesate” degli emisferi cerebrali sono state ricostruite per ciascuno dei 116 volontari destrimani affetti da psicosi schizofrenica e per 66 soggetti in buona salute psichica fungenti da gruppo di controllo. Per stimare le proprietà topologiche degli emisferi sono stati adoperati degli approcci teorici di tipo grafico. L’analisi ha evidenziato che, sebbene alcune proprietà di portata locale della rete emisferica erano conservate, nella schizofrenia si riscontrava un significativo deficit di integrazione globale indipendente dall’emisfero. Inoltre, è emerso un rilevante gruppo di interazione emisferica rivelato dalle caratteristiche di estensione della via nervosa e di efficienza globale, attribuibile ad una significativamente ridotta asimmetria emisferica dell’integrazione globale nelle persone affette dalla psicopatologia schizofrenica, rispetto ai controlli in buona salute psichica.

In particolare, i ricercatori hanno accertato la ridotta asimmetria nell’efficienza nodale in varie regioni dei lobi frontali e nelle reti neuroniche appartenenti all’ippocampo. Infine, è stato possibile porre in relazione le anomalie dell’asimmetria topologica emisferica delle reti anatomiche cerebrali rilevate nei pazienti psichiatrici, con elementi significativi per la clinica psichiatrica del disturbo, quali la durata della malattia e le manifestazioni psicotiche (deliri, allucinazioni, ecc.).

I dati desunti dall’accurata analisi condotta da Sun e colleghi, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura del testo integrale dell’articolo originale, forniscono sicuramente nuova conoscenza circa la natura lateralizzata della disconnessione emisferica della schizofrenia, ed evidenziano le potenzialità cliniche nell’uso delle misure dell’asimmetria emisferica delle reti cerebrali come biomarker neurale per la diagnosi di schizofrenia e dei suoi sintomi principali.

 

L’autrice della nota ringrazia il professor Rossi per la revisione del testo, la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-21 novembre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Mi riferisco a Giuseppe Perrella, attuale presidente della nostra società scientifica. Dagli appunti di quel seminario è tratta l’espressione tra virgolette che segue. Il fascino di quella prospettiva è testimoniato dalla frequentazione di alcuni incontri seminariali da parte di persone “non addette ai lavori”: ricordo la dottoressa veneziana Roberta Carnesecchi, ex-direttrice di un Museo della città lagunare e poi per qualche anno sostenitrice di BM&L, e un’icona dei salotti fiorentini quale Gloria Gambacciani.